Dimas Macedo
Condannato dalla giustizia italiana,
da quella francese e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per la
commissione di crimini contro la vita; evaso dal carcere della propria nazione
di appartenenza; arrestato dalla Polizia federale del Brasile per la
falsificazione di documenti, Cesare Battisti non è un ideologo perbene, come
vogliono coloro che lo considerano come un mito della sinistra.
È inammissibile che abbia ottenuto tanta protezione, nelle alte sfere della
Repubblica, e che sia stato giudicato come un leader capace di aggregare tanti
seguaci. Se in Brasile non esistessero Leggi o Costituzione, forse sarebbe
corretto affermare che gli atti discrezionali del presidente Lula e del suo
ministro della Giustizia, a favore di Cesare Battisti, costituiscono tratti della
generosità o della psicologia di coloro che esercitano il potere politico nello
Stato.
Nella traiettoria di Battisti consta la pratica di crimine contro il ministero
della Giustizia poiché, entrando in Brasile come fuggitivo, falsificò il
proprio passaporto. E quando fu arrestato per la commissione di questo reato,
non esisteva (e tutt’ora non esiste) alcune forma di protezione legale capace
di trasformarlo in rifugiato, come affermato, tra l’altro, dal Supremo
Tribunale Federale.
Pertanto, se non è un rifugiato politico; se il Brasile non gli ha concesso
asilo; se è stato arrestato dalla giustizia brasiliana per falsificazione di
documenti; se è stato condannato dalla giustizia italiana per reati di sangue;
e se, ciononostante, Battisti riceve la garanzia che non sarà estradato, è
perché non esiste più logica nelle istanze ufficiali dello Stato brasiliano.
Luiz Inácio Lula da Silva,
indiscutibilmente, nel caso specifico di Battisti, ratificò il fatto che il
Brasile non è un Paese serio, perché se il governo brasiliano fosse giusto, non
saremmo, davanti agli occhi di tutti gli ordinamenti giuridici del Pianeta, il
paradiso dell’impunità e la nazione che accoglie sempre con affetto i grandi
fuggitivi dalla giustizia. So che i sostenitori di Battisti e dell’egemonia politica del Brasile credono che la
difesa dello status quo significa anche l’assoluzione dei crimini della
macchina dello Stato.
La mia coscienza di giurista, però, si colloca al
di sopra di questa contingenza. Il caso Cesare Battisti, Editrice Lcr (2011), di Walter
Filho, non è un’arringa di accusa o di condanna. E non è, allo stesso modo, un
documento di confronto con i detentori del potere politico in carica. È
dapprima una radiografia e un’analisi molto accurata dei processi nei quali Cesare Battisti fu condannato per la pratica di
reati di omicidio.
Non esiste nel libro un’indagine della vita anteriore
di Battisti, perché i crimini politici da questi commessi dovranno essere visti
come se fossero una ragione di difesa o di necessità, senza interferenza
nell’analisi dei suoi crimini comuni. L’amnistia di un reato politico o la sua
dimenticanza non autorizza ad essere immuni dalla giustizia penale, né
tantomeno assegna un passaporto per delinquere o per violare l’etica in nome
delle nostre intenzioni.
Walter Filho è stato a Milano, nell’ottobre del 2009, nella fase iniziale delle
sue ricerche, esaminando in loco i processi penali contro Battisti, osservando
il tutto con le sue lenti di promotore di giustizia e difensore dello Stato
democratico. Walter non ha svolto alcun lavoro frivolo, e nel suo libro non ha in nessun modo denunciato
le autorità brasiliane coinvolte nella protezione di Battisti, macchiando
l’analisi oggettiva delle sue indagini.
Non rivelerò al lettore la sequenza logica del libro, allo stesso modo che i
difensori di Battisti non hanno mai preso parte al dibattito sull’argomento,
forse con timore di udire la voce dei propri fantasmi, perché mentire e falsare
la verità diventano, in Brasile, le armi del potere contro la coscienza ed i confini della passione
contro la libertà.
In ultimo desidero affermare che ho accettato
di fare la presentazione di questo libro perché non posso negare la mia
condizione di giurista, impegnato a difesa della libertà e dello Stato di
Diritto, e come l’autore credo nella Costituzione del Brasile, nelle decisioni
del Supremo Tribunale Federale e nella verità (materiale e formale) della
giustizia italiana.
E, sebbene sia doloroso sapere che il furto, l’abuso
di potere e la disonestà sono le nuove monete del potere politico in Brasile,
ritengo che non tutti coloro che si credono proprietari dello Stato siano in
realtà dei mostri, o pensino che la logica del diritto sia a loro favore.
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